Una scena del film L'ospite inatteso, 2008. |
Angela Merkel, dichiarando che il multiculturalismo ha fallito, ha finalmente detto ciò che molti pensano. Sarkozi ha espulso i rom, e se l’Italia non l’ha ancora fatto è forse solo perché per il suo governo è più conveniente tenere pronto, in casa, un capro espiatorio multi-uso da tirar fuori all’occorrenza (anche la Lega finisce i suoi capri, e ha prima o poi bisogno di rispolverare i vecchi). Un articolo che ho letto su “Il sole 24 ore” invita a non confondere la Realpolitik tedesca con l’intolleranza francese. Il problema è che si deve sempre diffidare della Realpolitik: primo, per la sua origine bismarkiana che non depone certo a favore di una sua alleanza con il liberalismo; secondo, perché le invocazioni alla “pratica”, al “pragmatismo”, lungi da testimoniare una “assenza di pensiero”, fanno peggio: cercano di nascondere un pensiero ben preciso, che per ben precise ragioni cercano di non far emergere in tutta evidenza.
Thilo Sarrazin, un consigliere della Deutsche Bank nonché socialdemocratico (non so se l’espulsione minacciata sia stata resa effettiva), ha pubblicato a settembre un libro (non tradotto in italiano) il cui titolo suona come La Germania si autodistrugge. Vi si argomenta contro i musulmani, contro la manodopera non qualificata di cui la Germania non avrebbe bisogno, del pericoloso rapporto di nascite tra immigrati e “tedeschi” (per il quale in un non lontano avvenire ci potrebbe essere un rapporto di 100 a 20 milioni, dice Sarrazin). Tutto ciò è riassunto sotto l’idea dell’autodistruzione. Il che implica, ovviamente, l’idea di una auto-responsabilità ed anche, però, l’idea di una possibilità di correzione. La Germania non si è ancora autodistrutta, ma si sta autodistruggendo: bisogna dunque agire. Angela Merkel aveva condannato il libro prima ancora che uscisse, come un po’ tutto l’arco politico liberale e socialista. Ma la sua idea, espressa qualche giorno fa, che “il multiculturalismo ha fallito” sembra quasi una traduzione in gergo politically correct della tesi di Sarrazin. La Germania fino ad ora (“dagli anni sessanta”, dice la Merkel) ha mantenuto un approccio multiculturale; le cose, ora, non vanno affatto bene (= la Germania si autodistrugge); la causa di tale situazione è il multiculturalismo, del quale va sancita la bancarotta.
Ci sono due ordini di considerazioni da fare sul sillogismo implicito nel ragionamento della Merkel. La prima è che, in puro stile liberale, è una argomentazione che nasconde qualcosa, e c’è da sospettare che quel qualcosa sia molto vicino all’essenziale. “Il multiculturalismo ha fallito” perché adesso alla Germania non serve più manodopera generica, quindi non ha più bisogno di operai turchi; ha bisogno infatti di 400.000 ingegneri (come dice Sarrazin). Ciò ci costringe a prendere atto che il multiculturalismo stesso ha anche un’origine economica. Non è solo il figlio maturo del cosmopolitismo illuminista (sebbene in un certo senso, naturalmente, lo sia); è anche ciò che l’Occidente ha dovuto accettare, facendo di necessità virtù, diremo, nel momento in cui ha dovuto cominciare ad assorbire manodopera, sia per mantenere il costo del lavoro più basso sia perché ne aveva effettivamente bisogno da un punto di vista numerico. Tutto ciò è implicito nelle parole stesse pronunciate dalla Merkel, che forse senza volerlo palesa così la vera natura del multiculturalismo: “noi siamo un paese che a partire dagli anni ’60 ha importato lavoratori in Germania. Adesso essi vivono con noi e talvolta noi ci diciamo che essi non staranno qui e che un giorno essi spariranno di nuovo. Questa non è la realtà. Questo approccio multiculturale, che dice che noi semplicemente viviamo fianco a fianco e siamo felici gli uni con gli altri, ha fallito, completamente fallito”. Concludendo che la Germania non può dare l’impressione (già, l’impressione….) di non accettare lo straniero, l’immigrato, in quanto tale, perché ciò sarebbe economicamente svantaggioso (già, economicamente…l’immagine serve per il prestigio, e il prestigio per il vantaggio economico, mica per altro), la Merkel prospetta come superamento del Multikulti l’integrazione. Ma non esiste ovviamente solo l’aspetto economico; c’è anche l’altro versante, quello sociale, ripreso nel discorso della Merkel quando ricorda che a Francoforte due bambini su tre hanno un retroterra non tedesco (e di cui Sarrazin parla nei suoi calcoli delle proporzioni tra tedeschi e non tedeschi). Problemi economici e problemi sociali, ovviamente, si intersecano, e impongono una soluzione unica ad entrambi. Questa soluzione si chiama, per la Merkel, integrazione: che dovrà essere qualche cosa che supera il “fianco a fianco” del Multikulti. Infatti la crisi economica (che la Germania sta superando comunque piuttosto bene) acuisce i problemi sociali riattivando la rivalità in seno alla società tra “l’identico e il diverso”, nella fattispecie tra tedeschi e non-tedeschi. In un periodo di prosperità la fetta che va all’Altro non è percepita come un problema, ma nei periodi di crisi è subito avvertita come un furto (“vengono qui a rubare il lavoro a noi” è frase che si sente sempre anche in Italia, no?); e uno studio recente mostra che più del 50% tra i tedeschi mal tollera i musulmani, più del 35% ritiene che la Germania sia "sommersa" dagli stranieri e il 10% che la Germania dovrebbe essere diretta "da una mano ferma", da un "fuhrer" (fonte: Le monde, http://www.lemonde.fr/europe/article/2010/10/17/selon-merkel-le-modele-multiculturel-en-allemagne-a-totalement-echoue_1427431_3214.html).
L’altra considerazione è che la dichiarazione di morte del multiculturalismo rischia di “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”, come si dice. Il multiculturalismo ha infatti anche dei lati positivi, sebbene sia stato utilizzato come ideologia nel periodo del tardo-capitalismo per distogliere lo sguardo dai problemi sociali che l’importazione di manodopera poneva e dai problemi etici legati allo sfruttamento di tale manodopera (chiaramente il discorso varia da paese a paese). L’idea del multiculturalismo è quella della coesistenza delle differenze nel rispetto di tali differenze; l’idea che sia possibile avvertire queste differenze come risorsa e non come limite. Ma se a questo multiculturalismo del “fianco a fianco” viene contrapposta l’idea dell’integrazione, viene mosso un passo in una direzione ben precisa. Integrare ha evidentemente a che fare con il rendere integro, rendere integro ciò che è frammentato, disunito- ciò che appare frammentato e disunito. Ha a che fare, si può dire per ora in termini del tutto generici, con l’idea di unità. Da dove deriva questa idea di unità? In che misura si regga ancora sull’idea (Romantica) di Nazione in quanto Lingua Nazionale è testimoniato dal riferimento della Merkel alla lingua tedesca testimonia (vedi video); ma al di là di questo riferimento, sembra difficile negare oggi la pervicace persistenza dell’idea di nazione con la N maiuscola, come la stessa difficoltà dell’idea di Europa a sostanziarsi in qualcosa di più che in una forma semi-vuota sta lì a ricordarci. A sua volta tutto ciò non fa che mettere in scena la dicotomia dell’identità, quel noi/loro di cui ho già avuto modo di parlare (vedi Appunti sulla regressione). L’idea di integrazione non è allora costruita per intero su questa dicotomia, che mette in gioco un’idea organica di unità, che potremmo chiamare, per brevità, l’idea di una “unità semplice”? Questa idea di unità semplice è quella del “semplice noi”
Il multiculturalismo ha la capacità di sfidare questo pensiero dell’integrazione, poiché impone al pensiero (e alla politica) di pensare una unità diversa da quella implicante un intero come un “uno semplice”. Pertanto, ciò che il multiculturalismo sfida è innanzitutto l’idea di Nazione come unità organica. Ma proporre l’integrazione così come è proposta dalla Merkel (o in Italia dalle destre- le sinistre in effetti non propongono niente) significa appunto arretrare di fronte alla sfida del multiculturalismo e rinunciare a cogliere ciò che nell’idea multiculturale c’è di positivo, di positivo in quanto indicazione di una strada, di una via (ancora) da percorrere. Perché “integrare” vuol dire di fatto assimilare, vuol dire meno costruire un (nuovo) intero che (cercare di) mantenere un (vecchio) intero (la nazione).
A sua volta anche la Merkel ha però ragione in qualcosa. L’idea del “fianco a fianco” è sbagliata perché, appunto, si regge tacitamente sul sogno che coloro i quali sono “l’Altro” un giorno, dopo che ha lavorato per noi e ha contribuito alla nostra ricchezza, semplicemente spariscano. E ci lascino vivere in pace, felici e arricchiti (da loro). Se l’idea dell’integrazione prevede una ricostituzione dell’intero che tenga fermo uno dei due poli come l’universale (la Nazione) cui l’altro polo, visto come l’accidentale (l’immigrato, colui che introduce il “disagio” nel corpo “sociale”), si deve integrare (per non rendere il corpo in cui si inserisce “malato”), non è questa l’unica via d’uscita che il multiculturalismo in effetti propone; se così fosse, esso sarebbe qualcosa come una “aporia” sociale, un vicolo cieco… L’alternativa potrebbe essere quella di considerare entrambi i poli come qualcosa di mobile. Considerare cioè che tanto il “noi” quanto il “loro” debbano venire coinvolti nella costruzione di un nuovo intero. Ciò prevede che si prenda in considerazione l’idea di trasformazione della società (della Nazione) in maniera più radicale di quanto imponga l’idea di integrazione “semplice”, la quale di fatto ha di mira il ripristino o il mantenimento di una condizione precedentemente data, dell’unità che si suppone esista o sia esistita. L’idea di “integrazione semplice” indica l’opposto della parola ospitare; quest’ultima infatti è parola che si muove in due sensi (e il fatto che il doppio senso sia andato in buona misura perduto è un triste segno dei tempi): è ospite colui che accoglie, ed è ospite colui che è accolto. Questo non significa forse che l’ospitante e l’ospitato si trovano in una condizione di parità? Ospitare è una sfida che coinvolge entrambi i poli, e scaricare il peso della soluzione di una antinomia sociale (quella, poniamo, del Multikulti tedesco) su uno solo dei due poli non è forse una violenza che si fa al proprio ospitato? Integrare è allora il contrario di ospitare, mentre al contrario la sfida reale del presente è quella di portare l’integrazione all’altezza dell’ospitare, cercando i modi non di ri-costruzione di un’unità perduta, o di mantenimento di una unità presente (spesso fittizia), ma di costruzione di una unità diversa dalle precedenti, accettando anche l’idea di modificare anche noi stessi in quanto ospiti che ospitano. Del resto, quando qualcuno ospita qualche amico, non cambia anch’egli le proprie abitudini? Ciò che si deve decidere è quindi il come dell’integrazione. Su questo si gioca non tanto la (auto)distruzione della Germania, o dell’Europa, ma invece la sua costruzione.
l'opinione del 10% ("la Germania dovrebbe essere guidata da un fuhrer, una mano ferma") non è solo un'opinione immateriale. è di qualche giorno fa la notizia dell'arresto di una ventina di attivisti di RADIO WIEDERSTAND, con l'accusa di incitazione all'odio razziale. la radio faceva, in sostanza, propaganda neonazista. http://www.apcom.net/newsesteri/20101104_090305_137121c_101895.html
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