domenica 4 luglio 2010
THE DARK SIDE OF THE WEB (O I PESCI E LA RETE)
In altri articoli, apparsi su questo stesso blog e su altri siti e fogli indipendenti, ho scritto che la sinistra deve ripartire dalla libertà; questo assunto sembra essere condiviso da più parti, soprattutto a livelli non istituzionali. Ma ripartire dalla libertà deve voler dire ripensarne in profondità il concetto, oltre le sue definizioni più o meno classiche, di derivazione liberale o socialista o marxista, che oggi rischiano di rimanere puramente nominali, astratte. Sembra che sia necessario aggiornare la domanda “che cosa è libertà?” ai nuovi scenari postmoderni; il che significa in buona parte portare la riflessione sulle nuove strutture di potere che si stanno affermando ora, nel nostro presente, e che hanno cominciato ad emergere negli ultimi dieci anni o poco più in maniera massiccia. Una delle difficoltà che un pensiero critico incontra subito è la resistenza inconsapevole che gli viene opposta da chi è parte integrante del mondo sottoposto al vaglio della critica. Ma questa difficoltà non fa che replicare la difficoltà del pensiero stesso a farsi critico e non meramente apologetico, e potrebbe non essere altro che il travaglio stesso della liberazione, dell’atto di nascita di una forma di attitudine che può dirsi liberante solo al prezzo di una perdita; la quale non è detto però che, in quanto quantità negativa, sia anche assiologicamente tale.
Internet è stata senza dubbio tra le più rivoluzionarie invenzioni degli ultimi secoli, paragonabile solo all’avvento dell’industrializzazione per il modo in cui ha saputo rivoluzionare le nostre vite e trasformare le nostre intuizioni spazio-temporali. Ha connesso persone ben più della Nokia, ha permesso di realizzare quel Mundaneum (una nuova biblioteca di Alessandria a vocazione universale) che in altri tempi non poteva essere pensato se non come utopia regolativa, ha sospeso sopra le nostre teste un duplicato di mondo con il quale giornalmente interagiamo, nel quale ad ogni ora penetriamo andando a prenderci ciò di cui abbiamo bisogno; ha costruito un mondo virtuale nel quale sempre più viene trasferito quello terrestre e dove, come detto, lo spazio e il tempo sono nuove grandezze evanescenti in cui la mente acquista nuove dinamiche cognitive (ancora da mappare). Questo nuovo mondo costruito in una dimensione prima inesistente è una “rete”, un network, un web. I gestori di questo mondo parallelo ne hanno messo in rilievo l’aspetto interattivo, integrativo, connettivo, alimentando una ideologia progressiva attorno a questo fenomeno basata esclusivamente, e per questo ideologicamente, su alcuni aspetti del mondo Internet: così alcuni fatti sono stati pensati ipso facto come valori positivi. Molto recentemente Internet è poi stata associata con insistenza alla parola “libertà”e, anche in Italia, ritenuta il nuovo strumento per giungere al sogno della democrazia diretta. È a questa altezza che ci dobbiamo chiedere se questo discorso non sia l’occultamento di qualcos’altro, di qualcosa di meno visibile, di qualcosa che gli internauti servono pensando di servire qualcos’altro; di qualcosa che, in sostanza, sfrutta alcune parole chiave, a grande presa psicologica sulle masse (“libertà”, “democrazia diretta”, “potere orizzontale”), per alimentare un discorso/sistema di natura completamente opposta. Se così fosse – e così io credo che sia- vedremmo all’opera nientedimeno che il completamento semantico della parola stessa che definisce questo fenomeno, cioè “rete” e “ragnatela”: il suo dark side; perché se la rete connette, essa imprigiona e in essa si rimane impigliati; e perché la ragnatela cattura le prede che, impotenti a liberarsi, rimangono in attesa che il ragno arrivi e le fagociti per sempre. Ma questa seconda occulta intenzione della “rete”, scivolata quasi come un lapsus nella sua stessa definizione, è stata da sempre tacitata dal più "importante" discorso delle “magnifiche sorti e progressive”.
Un discorso analitico sul potere della rete non può certamente prescindere da una approfondita analisi del rapporto tra la sua gestione e il capitalismo globale. Uno dei gravi errori che viene commesso nella valutazione della rete come strumento di democrazia assomiglia, secondo me, ad una fallacia categoriale. In sostanza, la rete viene scambiata per un mezzo di comunicazione naturale, come se potesse ricreare le istanze discorsive assembleari, ad esempio, o anche di piccoli gruppi impegnati in intercomunicazioni orali. A prescindere dal fatto che strutture di prevaricazione (e quindi indirettamente a (o pre)-democratiche) sono in ogni momento attive anche nelle comunicazioni più tradizionali vis-à-vis, e che una organizzazione che si volesse democratica avrebbe bisogno di attuare disposizioni di controllo e correzione di queste forze, in realtà si dimentica che Internet dipende da un sapere specifico, il sapere informatico, e da capitali che ne rendono possibile lo sviluppo. All’opposto che naturale, la rete è in realtà uno spazio artificiale che, sebbene possa cercare di riprodurre l’ambiente naturale di conversazione addirittura implementandolo (di qui l’idea di una “democrazia diretta universale”), pone automaticamente una gerarchia (quantomeno) tra chi è utente e che è gestore, rendendo con ciò fragile e problematica la stessa idea di democrazia diretta e completamente orizzontale. È quindi l’artificialità stessa dell’ambiente virtuale, il suo dipendere da un sapere (controllabile, comprabile), che riconduce il fenomeno della rete alle dinamiche del potere, in una riattualizzazione capitalistica del detto baconiano che “sapere è potere”.
Eppure è vero che i blog (come questo) sono spazi completamente autonomi, che i rete ognuno può esporre la propria idea e partecipare a discussioni con diritto di parola. Ma anche questo non è gratis. Lo spazio della rete come luogo di esercizio della libertà è un letto di procuste per il soggetto libero, che più esprime la propria libertà, più sfoglia pagine su pagine e fa commenti su commenti, più tracce lascia in questo mondo virtuale, che si smaschera così per virtualità in verità fittizia. I gestori del sapere mettono a punto metodi di mappatura di desideri, preferenze, scelte, producendo un sapere che, lungi dall’essere messo a disposizione dell’universale emancipazione umana (qualunque cosa essa voglia dire, è difficile farla coincidere con l’idea di libertà del tardocapitalismo), viene utilizzato dall’attuale sistema economico per auto-implementarsi grazie ad una sempre più micrologica conoscenza dell’individuo e della sua intimità. Seguendolo così da vicino, il sistema ne sa prevedere le mosse e i desideri, addirittura anticipandoli e abolendo, con ciò, ogni capacità di inserimento di un momento negativo tra desiderio e scelta (quel momento che Aristotele chiamava “deliberazione”); ciò che è abolito è di fatto la capacità critica, la distanza tra il soggetto e il sistema. O, perlomeno, questo è il fine cui asintoticamente si mira: il ragno tende a fagocitare lo sventurato caduto nella rete.
Oggi l’ideologia internettiana, con tutti i suoi alfieri, esalta le parole d’ordine della sua positività. E alcune delle sue positività sono in effetti difficilmente discutibili. Ma, come detto, non si può dimenticare che Internet è in primo luogo un sapere, e come tale aperto a strumentalizzazioni che l’utenza finale nemmeno lontanamente può prevedere. A supporto di quanto sto cercando di argomentare riporto qui sotto due video che ho recentemente visto e che hanno suffragato, così almeno credo, queste riflessioni che da tempo tentavo di articolare. Questi video sono tratti dal sito della Casaleggio Associati, l’azienda che gestisce la comunicazione web di Beppe Grillo e che, parallelamente, offre consulenza informatica e strumenti teorici per l’utilizzo del web per l’e-commerce. Il primo video è il manifesto di questa azienda. Vi si trova la promozione del pensiero mcluhaniano sotto forma di profezia, l’esaltazione della rete Internet come promotrice di libertà e la presentazione della terza guerra mondiale tra occidente libero e oriente dispotico, la discriminante tra i due essendo la libertà dell’accesso alla rete; la vittoria dell’occidente porterà all’insediamento di Gaia, un governo mondiale che garantirebbe la pace. L’identità degli uomini sarà, e in questo si può benissimo vedere un lapsus, gestita da Google (ma guarda), e chi sarà privo di identità informatica (completamente tracciabile), semplicemente “non sarà”. L’oriente (Russia, Cina) è descritto in questo video come un mondo “orwelliano” e demonizzato; ma l’accenno successivo all’identità informatica smaschera che il mondo orwelliano è lo stesso sogno sognato dall’ideologia occidentale e dai suoi paladini. E a conferma di quanto scritto sopra sull’uso ideologico di alcuni aspetti positivi stanno appunto le immagini di Grillo (democrazia diretta) e di Obama (che rappresenta la pace nel mondo raggiungibile soltanto con l’estensione delle pratiche occidentali). In questo mondo futuro, governato da Gaia, non ci saranno più ideologie, ci dice il video. Cosa alquanto strana, visto che la terza guerra mondiale porta alla vittoria dell’Occidente! Ma è un contrassegno della più agguerrita delle ideologie il non sapersi pensare come tale: lo stesso che accadde quando il muro di Berlino crollò, e si diffuse il mito della “morte delle ideologie”. Questo precedente storico mostra benissimo al servizio di chi questo video, e questa rete così pensata, siano messi.
Il secondo video, se visto subito dopo il primo, ne costituisce quasi una parodia. È questo infatti un video commerciale, in cui il capo della Casaleggio parla di come la rete possa essere usata per il commercio, per il profitto e per il controllo dei consumatori. Non è interessante che la stessa ditta che promuove ideali di pace, progresso e libertà, di democrazia e di orizzontalità, sia una delle più attive ed avanzate nel mettere a punto strategie di utilizzo capitalistico di Internet?
L’insieme eterogeneo di elementi ed ideologemi inseriti in questi video dà la misura della strumentalizzazione cui l’ambiente virtuale, che contiene in sé potenzialità indubbiamente positive, è attualmente sottoposto. E svela, contemporaneamente, l’opacità del discorso sulla libertà, che non serve oggi che come copertura compensativa per una ulteriore stretta ipercapitalistica, che riduce il soggetto a consumatore sia di prodotti che di opinioni accuratamente ridotte in pillole per poter essere meglio trangugiate (ragion per cui, ad esempio, un post come questo sarà comunemente ritenuto troppo lungo e quindi illeggibile), riducendo lo spazio per il pensiero critico e quindi per l’apertura utopistica al futuro. Il futuro tende, con ciò, ad essere ridotto al puro presente.
Non riesco, purtroppo, a liberarmi di una domanda, che è stata posta nel 1979 da J.F. Lyotard ne La condizione postmoderna, e cioè: “chi saprà?”. Se in alcune parti del mondo la risposta è: lo Stato, in altre potrebbe semplicemente essere: le Corporation, le lobbies e simili potentati economico politici. Ma il secondo tipo di potere si nasconde, mentre il primo è diretto e suscita subito la nostra indignazione. E così, come profetizza il video-manifesto della CasaleggioAssociati, andremo in guerra contro l’oriente dispotico “per la libertà”. Vi lascio ai video.
GAIA-IL FUTURO DELLA POLITICA
I PENSIERI DELLA RETE
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