mercoledì 30 giugno 2010
WCM E NUOVI SPETTRI
Nel 1907 Taylor pubblicava il suo testo capitale L’organizzazione scientifica del lavoro, che si avviava a diventare la Bibbia apocrifa dell’occidente capitalista e dell’utopia socialista (in URSS avrebbe infatti prodotto l’ideologia produttivista esplosa con Stalin). Molti anni dopo, tramontato ogni sogno utopico del socialismo reale, affossato dalle sue stesse incarnazioni storiche, troppo apparentate con gli incubi della castrazione per essere oggetto di placide fantasticherie, il produttivismo si aggiorna: ecco il metodo WCM, caldeggiato dal capitano d’industria in maglioncino, l’impassibile Sergio Marchionne; lo stesso che non esita a bacchettare gli operai che lottano per il loro lavoro per aver confuso il diritto allo sciopero con il lusso del sollazzo del tifo per la nazionale. Se sotto quello sportivo maglioncino riusciamo a scorgere quel “tatuaggio”, WCM, ecco che quella esternazione così incredibilmente assurda e offensiva da parere una battuta (ma di cattivo gusto) assume il suo corretto spessore. Il metodo WCM, ovvero World Class Manifacturing, è l’aggiornamento del metodo taylorista dell’organizzazione razionale del lavoro, un tempo applicato da Ford, al nuovo scenario del tardo capitalismo globale. Il vecchio Ford aveva un concetto austero della produttività: “il cliente può desiderare l’auto del colore che preferisce, purché sia nera”; ma oggi lo scenario è cambiato, l’industria è ben più flessibile e il consumismo ha creato una coscienza ben più complessa nel consumatore. La domanda si è articolata e ha le sue pretese; oggi, il mercato del tardocapitalismo, per sopravvivere, deve saper produrre la Differenza (termine chiave, forse non a caso, di un’intera temperie filosofica più o meno recente). Il cliente vuole (è gestito in modo da volere) la Differenza, ovvero l’i-phone dopo l’i-pod e l’i-pad dopo l’i-phone; e soprattutto li vuole con qualche difetto, per poterne poi volere altri senza quei difetti (che sono subito evidenziati dalla stessa casa di produzione al momento del lancio, come molto furbescamente ha fatto la Apple con l’i-pad)… e via all’infinito. In uno scenario dove i ritmi di ricambio delle merci sono così rapidi e dove gli scenari di produzione così volatili l’austerità ford-taylorista ha segnato il passo, e così la stessa ragione capitalista non ha perso tempo nell’aggiornamento, partorendo il metodo WCM, già applicato dalla Toyota e che ora la Fiat vuole importare a Pomigliano, imponendolo come dazio in entrata pena la chiusura dello stabilimento e la delocalizzazione chissà dove. Questo metodo ovviamente si propone di aumentare la produttività, cioè di eliminare scorte, tempi morti in produzione, tardivi controlli qualità e revisioni, aumentando la flessibilità della capacità produttiva. Il processo produttivo è costantemente sott’occhio, e l’operaio pure. Cosa cambia rispetto a prima? Tutto, se si guarda al modo in cui l’operaio in fabbrica lavora; niente, se si considera la filosofia di base. È semplicemente un aggiornamento. Bisogna produrre di più, farlo meglio, per abbattere i costi ed essere competitivi sul mercato. E Marchionne dice: fatelo, e Pomigliano rimane operativa. Non volete? Bene, andiamo via. È ovvo che, per uno che ha in mente il WCM, uno sciopero per le condizioni di lavoro non è solo un impiccio; è una bestemmia, un sacrilegio di chi, empio senza vergogna, non riconosce la nuova Bibbia aggiornata e riveduta del capitalismo del XXI secolo.
Al di là di ciò che si potrebbe dire (e non è stato detto da chi di dovere) sulla palese atmosfera di intimidazione in cui si è svolta la contrattazione sindacale a Pomigliano, ciò che sta avvenendo è in realtà un giro di vite molto importante nell’ideologia dominante del nostro sistema occidentale, il quale rischia di passare in sordina se non messo sufficientemente in evidenza. Questo giro di vite è il rinsaldarsi, sotto nuove e più potenti forme, del sodalizio classico razionalizzazione-produzione. Ciò che è evidente è che il sistema produttivo cerca di adeguarsi ai tempo rapidi della domanda volatile, portandosi al’altezza della capacità del marketing di deviare e pilotare a velocità incredibili i desideri della massa (con la tecnica della “pubblicità diffusa e permanente”), accelerando in tal modo i ritmi del consumo; una estensione del metodo WCM su larga scala non potrebbe dunque che stringere i tempi della produzione, e di conseguenza, a fortiori, del consumo indotto. Mi domando dunque se in questo modo il cerchio non si stringa in maniera irreparabile, facendo diventare il vortice produzione-consumo un gorgo sempre più indiavolato. Mi sembra chiaro che la crisi del capitalismo iniziata due anni fa abbia posto degli interrogativi non ancora veramente affrontati. Molti, anche intellettuali, si sono scagliati contro il capitale finanziario, contro l’aspetto deforme e innaturale che le borse hanno assunto; oppure contro le misure salva-banche degli Stati, che hanno penalizzato ovviamente le fasce inermi della popolazione (così, il nuovo governo conservatore inglese ha appena attuato spaventosi tagli al welfare). Ma una seria riflessione sulla gestione della produzione globale? Sui metodi della produzione? Se l’ideologia del profitto permea e struttura ogni secondo della vita di un operaio in fabbrica e di ogni uomo fuori dai luoghi di produzione, è chiaro che essa cercherà nuovi modi facili di profitto de-realizzandosi e trasvolando nella finanza. Ma il punto è un altro, e non può essere nominato se non ricorrendo ad una terminologia un po’ obsoleta e forse oggi deformata. Il punto è la qualità della vita. Dentro la fabbrica, per l’operaio WCM; fuori, per donne e uomini gestiti secondo per secondo e talmente anticipati nei loro desideri da non poter più nemmeno discernere tra desideri ideologizzati e desideri naturali. Se l’apparato produttivo diventa così rapido da poter aggiornare la lista di ciò che altre forze (marketing, pubblicità diffusa et sim.) riescono a marchiare come oggetti indispensabili del desiderio, e che poi la loro stesa diffusione impone come necessari ed indifferibili (ad esempio per non rimanere “isolati”), la gestione del tempo del consumatore può davvero diventare microscopica, più ancora di quanto già non sia.
Allora, forse, lo spettro da cui ci dobbiamo guardare, oggi, è lo spettro della razionalizzazione produttiva inserita nello scenario del liberismo globale. Che cosa può produrre, se applicata su larga, larghissima scala? A che tipo di vita condanna gli operai, e che tipo di mondo propone ai consumatori? Forse il silenzio della sinistra italiana (ed europea) di fronte a questo giro di vite neoliberista è però più significativo del gesto di Marchionne, del sostegno della Confindustria, dell’assenso del governo. Come sempre, dobbiamo avere paura più del silenzio dei nostri che delle grida entusiastiche dei vincitori.
Ps: Benjamin diceva che ogni documento di civiltà è anche un documento di barbarie. Dipende solo dal modo in cui vi si guarda. Oggi che nessuno prova più a cambiare sguardo, a guardare “dietro” le carte intestate prodotte dagli enormi apparati istituzionali del nostro Occidente, l’esercizio dialettico di Benjamin potrebbe tornare davvero utile.
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