lunedì 24 maggio 2010

VOLTI DIETRO LO SCHERMO


Ieri sera, domenica 23 maggio, 22 giorni prima del calcio d'inizio dell'evento calcistico dell'anno, la sala civica Nicoletta Lodi di Verona ha ospitato un evento sulla coppa del mondo sudafricana. gli ospiti non erano calciatori e nemmeno dirigenti fifa, uefa o figc; erano invece tre esponenti sudafricani del movimento Abahlali BaseMjondolo, e il titolo dell'evento era, significativamente, "Mondiali al contrario". Abahlali BaseMjondolo in lingua Zulu significa "abitanti delle baraccopoli", e questo giovane movimento, nato nel 2005, è espressione della capacità di auto-organizzazione della popolazione sudafricana che vive ai margini delle città in condizioni di precarietà sanitaria, abitativa, alimentare e assistenziale. grazie alla rivista "Carta", alcuni esponenti del movimento sono impegnati in un tour attraverso l'Italia (da Rosarno a Verona attraverso Castel Volturno,Pisa, Chieti, L'Aquila)per far conoscere all'esterno, agli altri paesi che guarderano tra qualche mese il loro attraverso l'occhio delle telecamere Fifa, una realtà che quelle telecamere difficilmente si spingeranno ad incontrare.
la loro realtà è una realtà fatta di povertà, di case senza acqua corrente, senza elettricità. costretti a lasciare i loro paesi di provenienza e le zone rurali, dove letteralmente spesso non c'è nulla, nè scuole né ospedali né lavoro possibile, migliaia di sudafricani si avvicinano alle città, nella speranza di potersi costruire non solo un futuro, ma anche un presente migliore; ciò che trovano è una vita ai margini, in queste baraccopoli. le stesse baraccopoli che oggi, nei lavori in vista dei mondiali di Giugno, vengono sgomberate: la loro esistenza deve essere occultata, le telecamere non dovranno mostrare questo volto del sudafrica.

dell'intervento di Busisiwe, Thembani e Philani, oltre naturalmente alle difficoltà materiali del loro vivere quotidiano, colpisce l'insistenza su due punti: la rivendicazione del diritto ad essere ascoltati dai propri politici, che anziché tenere conto delle loro richieste "pretendono di insegnar loro come fare"; e, in secondo luogo, l'insistenza sulla caratterizzazione del loro movimento: nonostante i suoi partecipanti abbiano diritto di voto, nonostante gli aderenti siano migliaia, questo è e dovrà rimanere un movimento "sociale", al di qua del "politico" istituzionalmente inteso. ma, certo, qui è in gioco una politica di altro grado, come gli interventi stessi non hanno mancato di sottolineare: è in gioco una educazione delle coscienze ai propri diritti, alla rivendicazione di questi diritti. ma ciò che mi sembra in questione, qui, è una categoria politica che sta addirittura prima, al di qua, del gioco istituzionale e che, anzi, ponendosi a monte di esso lo fonda nella sua universalità. si tratta, a mio parere, della categoria politica del "riconoscimento".
in un certo senso l'assemblea riunita ad ascoltare le loro testimonianze ha faticato a comprendere questo punto. ha letto, in alcuni casi, la rinuncia ad una avventura politica istituzionale come "sfiducia verso le istituzioni", oppure come decisione difficile da comprendere. e per noi, in effetti, può sembrare davvero strana, fino ad apparire una ostinazione, la decisione di non costituirsi in partito. ma questa decisione mi pare acquisti una perspicuità se messa nella prospettiva del "riconoscimento".la loro lotta è condensata, in un certo senso, nella richiesta che il memorandum (che il movimento è riuscito a fare avere al governo e che contiene specifiche richieste per migliorare le loro condizioni)venga innanzitutto letto; ciò che chiedono è di venire ascoltati: in un intervento è stato chiaramente detto che "se i politici [li] ascoltassero, potrebbero davvero risolvere la situazione". questa, in effetti, non mi pare sfiducia nelle istituzioni. la dinamica democratica, raggiunta in sudafrica con lunghe lotte che nel '94 hanno messo fine all'apartheid, ha, credo, la loro fiducia. ma ciò che chiedono è che i politici non portino loro soltanto del cibo indiano per ingraziarseli nei periodi pre-elettorali, ma che li ascoltino, cioè che li riconoscano come interlocutori. è qui in gioco una richiesta di integrazione materiale delle garanzie formali della costituzione democratica. al diritto di voto, che pone formalmente la parità di tutti i cittadini, corrisponde però una esclusione de facto sul piano dei bisogni e della dialettica concreta. ma senza un riconoscimento materiale, che veda in loro, nei loro bisogni di esseri viventi, si può dire attiva la democrazia? democrazia non è semplicemente governo del popolo: è governo di tutto il popolo, è una partecipazione repubblicana al bene comune di tutti i soggetti partecipanti, e per ciò stesso presuppone un mutuo riconoscimento di tutti gli attori sociali nella stessa misura. soltanto così, soltanto con la certezza che l'azione politica abbia alle proprie spalle un previo riconoscimento universale dei partecipanti (che solo così si tramutano realmente i cittadini), la democrazia può dirsi compiuta e funzionante. ma, in una situazione come la loro, come ci si può sentire "riconosciuti" se l'equivalente di miliardi di euro viene destinato a opere per la coppa del mondo, mentre al loro memorandum si risponde con una vaga promessa di riscontro?
credo dunque che non si tratti di sfiducia verso le istituzioni, o in primo luogo non di questo. piuttosto si tratta di portare avanti, con un movimento che proprio per questo motivo deve rimanere un movimento sociale, un processo di completamento dello spazio democratico attraverso, intanto, la formazione della coscienza degli abitanti di queste sub-città di avere anch'essi un volto e di avere con ciò un diritto universale al riconoscimento; e dall'altra parte attraverso la costante ricerca del dialogo con chi quel volto non lo vuole vedere, con chi sembra avere come referente della propria azione politica soltanto una parte della cittadinanza. per come la vedo io, qui si tratta di una lotta per il compimento pieno della democrazia, un compimento che, iniziato nel 1994, deve trovare la propria ratifica materiale nel riconoscimento del volto di tutti.

un movimento sociale è sempre pre-politico in questo senso. riguarda, spesso, valori che stanno alla base della costituzione di un modello politico, prima che gli interventi e le scelte che noi siamo abituati a considerare politiche stricto sensu. è una energia che domanda l'organizzazione di un vero e proprio spazio pubblico di riconoscimento, tra individui, tra gruppi e tra questi e un determinato insieme di valori; in questo caso, per loro riguarda la lotta per la democrazia e per l'universalità del diritto, non solo formale ma anche materiale. quando vedremo i mondiali i loro volti verranno letteralmente "schermati": posti al di fuori della zona delle riprese, saranno nascosti dall'opacità dei nostri teleschermi e dei teleschermi di tutto il mondo; le loro condizioni, l'umiliazione della loro progettualità individuale affogata nella miseria, sarà nascosta dietro il lusso ostentato dalla "prima nazione africana in grado di organizzare un evento del genere". abbiamo il dovere di ricordarcene, e di aiutare questo movimento a bucare lo schermo e a mostrare il proprio volto. chissà che i mondiali, che sottraggono loro così tante risorse, non possa dialetticamente ribaltarsi nell'evento che può dare loro una visibilità internazionale che costringa il governo sudafricano ad ascoltarli e ad aiutarli? loro sono in Italia per ottenere il nostro aiuto, consapevoli che le relazioni internazionali possono spesso, paradossalmente!, incidere molto di più sulle questioni locali di quanto non possano richieste che partano da quei territori. perchè non chiedere una azione al governo italiano? perché non raccogliere firme per una petizione? potrebbe essere un aiuto concreto: perché non provarci?

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