venerdì 14 maggio 2010

VERONA ALZA LA TESTA: VIA ALLA RACCOLTA FIRME PER IL REFERENDUM CITTADINO


Da ieri 13 Maggio 2010 la giunta leghista di Verona, presieduta dal sindaco Tosi, non può più dirsi immune da crepe. Forse è ancora il “sindaco più amato d’Italia”, ma per la prima volta ha dovuto cedere di fronte ad una opposizione interna cittadina che ha sempre creduto di poter trascurare. Lo sceriffo e la sua squadra tengono da anni la città sotto controllo, forti di una maggioranza compatta e decisionista che scavalca de facto tanto il dibattito democratico in sede istituzionale quanto il confronto con l’opinione pubblica, tenuta a bada con mosse propagandistiche sia dell’amministrazione locale sia dall’astuta macchina del consenso leghista nazionale; ma di fronte ad una questione così delicata come quella di un’opera pubblica, il cosiddetto “traforo delle torricelle”, una nuova autostrada cittadina, che 1) mette in gioco i soldi (tanti) dei cittadini, 2) sconvolge parte del territorio veronese aumentandone l’area cementificata, 3) non può che incrementare la mole di traffico in una delle città più inquinate del nord Italia che già soffre dell’incrocio di due tra le principali autostrade del nord (A4 e A22), la propaganda leghista e il suo populismo retorico poco hanno potuto. Anzi, forzando la mano, negando ostinatamente la richiesta di un referendum cittadino accampando che il traforo era stato promesso in campagna elettorale e sostenendo quindi che il suo adempimento sarebbe rientrato nella semplice esecuzione del programma stesso (mentre in realtà il costo è aumentato notevolmente e il progetto stesso è mutato), il sindaco ha dato prova dell’autoritarismo della sua giunta, andando però a cozzare contro la balance des pouvoirs: il Tribunale di Verona ha accolto le richieste del comitato promotore del referendum, autorizzandolo a procedere e caricando le spese legali sulle spalle del comune. Per la sua ostinazione, la giunta perde più di 5000 euro (che potevano ad esempio essere spese in finanziamenti sociali e culturali? Sono pochi, si dirà, ma 5000 a zero non è nulla), e anche- cosa forse più importante- la sua intangibilità. La struttura democratica vince sul consenso uno a zero. Chi l’avrebbe mai detto, a Verona?

Ora la sfida è di raccogliere le firme necessarie entro fine giugno. Ne servono 7500, e non sono poche: ma la mobilitazione c’è e le forze disposte a spendersi per questa avventura sembrano essere tante. Ma al di là dell’esito che il referendum potrà avere, se si farà (cosa molto probabile), alcuni rilievi devono essere fatti già ora. Il dato fondamentale è che in città, dove la Lega sembra aver dilagato e dove il consenso sarebbe, secondo le indicazioni elettorali, alle stelle, si riscontrano forze di resistenza. Va detto che queste forze di resistenza sono riuscite ad organizzarsi non tanto attorno ad una opposizione ideologica al credo leghista di Flavio Tosi, ma attorno a questioni davvero specifiche che riguardano l’immediata vita di ciascuno, l’interesse stesso dei cittadini. Il comitatismo, in effetti, è speso pericoloso: riunisce attorno a particolarismi interessati, e non è sempre detto che le forze lì riunite si traducano in spinta politica di più ampio respiro. Ma nel tal caso, qui non è in gioco una questione di esproprio di territori, di strade che passano sopra i tetti o dentro gli orti di alcuni cittadini; o meglio, se questo è effettivamente in gioco, c’è anche molto altro. Si tratta di un’opposizione ad un certo modello di sviluppo cittadino. Si rende evidente, ora, che anche nel gioco della Lega Nord qualcosa va storto: il “vota per te” degli adesivi abusivamente attaccati ai semafori delle vie del centro viene messo fuori fuoco, la sua trasparenza si appanna. Una arteria cittadina, a pagamento, che mi permetta forse di arrivare prima al lavoro, ma che incentivi l’uso dell’auto (avete mai visto le colonne d’auto veronesi? Sono un magro esempio di triste solitudine moderna: uno per macchina, sguardo fisso sul semaforo e sull’orologio, cellulare in mano per mancanza di contatto umano, chiusi come si è tra quattro lamiere e un motore), di conseguenza promuovendo l’inquinamento e affossando l’idea di servizio pubblico, unico rimedio all’aumento dei valori delle polveri sottili: tutto questo è “per me”? E una serie di centri commerciali lungo questa tangenziale, tra le belle colline veronesi, opere garantite in saldo dal comune alla ditta appaltata, anche questo è “per me”? A qualcuno potrebbe venire il sospetto che ci siano sotto altri interessi. Forse il sindaco più amato d’Italia dialoga con qualche potentato economico prima che con i cittadini? La penetrante retorica del voto interessato (già di per sé antipolitico nel senso più nobile dell’universalismo che la politica assumerebbe in un lessico post-illuminista) si appanna e vacilla, nel momento stesso in cui l’amministrazione, certo inavvertitamente, mette in movimento stimoli che sono come un reagente per l’attivazione di un pensiero più alto. Valori come “salute” e “ambiente”, con i connessi diritti, vengono dalla stessa Lega Nord riattivati nel sopito tessuto sociale veronese, e si svelano incompatibili con il modello proposto dal partito del “per te”. Ritorna in scena la necessità del pensiero: ciò che è da pensare è nientemeno che la gerarchia degli interessi dei cittadini. E qui, inaspettatamente, valori più universali si oppongono al particolarismo fomentato dalla lega. E tutto ciò, a Verona.

Un percorso politico può- e deve- trarre ispirazione da questa esperienza. Questo referendum dice molto di più di quanto non appaia, perché va letto come un segno di risveglio. Ci sono sfere che la demagogia non può arrivare a colonizzare, riflessioni che sembrano avere radici più solide di quelle che il non-pensiero regolato dai media può giungere a eradicare. Questo referendum deve aprire un percorso per la città di Verona, un percorso di recupero di una coscienza civica forte, di una coscienza critica vigile che si ponga come severo censore delle scelte politiche asservite ad altro che all’interesse pubblico di tutti gli attori sociali del suo spazio politico. Questo referendum può diventare l’inizio di questo percorso, perché dimostra che, se è vero che il sonno della ragione genera mostri, quella ragione non è del tutto narcotizzata e ha ancora la possibilità di librarsi in spazi più alti, dove stanno valori più universali ed importanti, e dove il “per te” si fa davvero politico nel suo senso più pregnante ed universale. Questa ragione è sveglia anche a Verona. Forse è proprio il caso di dire: buongiorno, notte!

2 commenti:

  1. 1) La "sofferenza" di Verona come nodo viario è ciò che le permette di vivere ad un livello superiore rispetto a città delle stesse dimensioni ma con posizioni meno strategiche.
    2) Il traforo diminuisce il traffico, in quanto evita l'obbligo di circumnavigazione della città; non è che poi si mettono a percorrerlo coloro ai quali non conviene, così per curiosità, non è Gardaland è una strada.
    3) Criticando la Lega e Tosi partendo dai punti di forza loro (consenso e decisionismo in primis), si può ottenere solo un'estremizzazione delle opinioni che già si hanno: i leghisti vi daranno torto, gli antileghisti ragione.

    Posto che il popolo è sovrano, il popolo si affida a suoi rappresentanti per decidere ciò su cui non sono competenti o non hanno il tempo di seguire. Crediamo che i veronesi siano sufficientemente competenti e informati su tematiche di viabilità per deliberare su questa materia?

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  2. è dubbio che tutte le auto che transitano sulla A22 e sulla A4 si fermino a vr ed implementino l'economia, a dire il vero; che lascino la loro traccia di polveri sottili, questo è meno dubbio.

    il traforo non diminuisce il traffico, semmai lo agevola (=meno tempo di percorrenza). anzi incentiva ad usare l'auto anzichè, ad esempio, i trasporti pubblici.

    consenso costruito su azioni dimostrative (es: respingimento dei barconi prima delle elezioni europee; poi come mai non ne hanno più parlato?) e decisionismo che salta il momento del dialogo non è affatto detto che siano valori. come si vede, il tribunale li ha fermati in quanto la giunta non ha prestato abbastanza ascolto ai cittadini. che valore ha una giunta che non dialoga con i propri concittadini? il decisionismo, infine, facilmente scivola nell'autoritarismo.

    il popolo è sovrano, ma la delega non è in bianco. nel momento in cui si pensi che l'operato dei delegati nons ia più in linea con i termini del mandato, si può intervenire con un referendum. perché la lega ha osteggiato in maniera così ferma il referendum? voleva fare il traforo, o voleva assecondare l'interesse dei cittadini? se la seconda, perché temere un referendum? se vince il no, non si fa, e si assecondano i cittadini. se vince il sì, si fa e si assecondano i cittadini. dunque perché temere il no?

    per favore, firmate il commento.

    stefano p.

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