lunedì 3 novembre 2014

il primato politico della lotta economica

"Il lavoro non sia terreno di scontro politico. Non si può sfruttare il dolore dei cassintegrati, dei disoccupati, dei precari". Una frase di tal tenore ideologico Renzi non aveva ancora avuto il coraggio di dirla. ora l'ha detta, e mette fine ai dibattiti se lui, Renzi, sia di destra o di sinistra. per quale motivo il lavoro non dovrebbe essere terreno di scontro politico, quando la costituzione sancisce proprio che la repubblica è fondata sul lavoro? E se non vogliamo prenderla dal lato della costituzione, per quale motivo l'attività che consente a donne e uomini, giovani e no, di progettare la propria esistenza non dovrebbe essere luogo di scontro politico, di dissenso, di richiesta di avere voce e rappresentanza? Se Renzi pretendesse (non è sicuro) di essere leader di un partito di centro-sinistra (per quanto all'acqua di rose: ma sta pur sempre nella sinistra europea) allora dovrebbe rispondere a questa domanda: se non la lotta per i diritti dei lavoratori contro lo sfruttamento del capitale finanziario, che cosa definisce la sua sinistra? lo dica, e poi gli elettori del pd decideranno, ma lo deve dire a chiare lettere. tagli (agli sprechi, certo, ma anche tagli e basta), riforme istituzionali e aumento della produttività non sono sufficienti per definire una politica di sinistra, così come non lo è nemmeno definirsi "riformista". il riformismo deve la sua colorazione politica al contenuto delle riforme, non alle riforme in se stesse – una ovvietà che oggi molti sembrano dimenticare.

Non voglio addentrarmi nello sviluppo della sinistra europea degli ultimi 30 anni. Mi sia concessa una nota su questo, però. La lotta per il riconoscimento dei diritti civili ha preso da tempo il posto della lotta per i diritti economici e sociali; ciò è stato determinato dalla fine del ciclo di lotte economiche che vedeva la classe dei lavoratori operai come il soggetto centrale della lotta politica. Fine dell'unione operai-Partito, fine della rappresentanza politica di un soggetto economico ben definito. A ciò è seguito lo spostamento dalla lotta economica alla lotta per il riconoscimento civile e sociale e nuove battaglie su altri fronti, per esempio l'ecologia. In generale: dalla lotta per l'uguaglianza alla lotta per le libertà. Tutto questo è risaputo, o almeno è già stato studiato e quindi disponibile. Ciò che non è altrettanto evidente è che questo trend ora non è più perseguibile, e che si innestava su un fatto economico: la crescita rendeva secondaria (erroneamente!) il problema della distribuzione del reddito. Quando questa condizione viene meno, il problema della distribuzione torna a galla. Precari, cassintegrati, disoccupati giovani e no, lavoratori a chiamata con malattia non pagata (ti rompi una gamba? Fattacci tuoi) reclamano (o cominciano a farlo) i diritti del lavoro, il che vuol dire: il lavoro come attività produttiva deve essere incluso nella sfera politica, non ne è separato. Renzi invoca la crescita e dice che dobbiamo tornare a crescere (verso dove, per lui non è un problema). Questa è l'unica possibilità che ha per silenziare la questione dei diritti del lavoro: tornare al modello socialdemocratico, in cui la crescita garantiva una distribuzione non equa, ma che “accontentava” anche i lavoratori. Per questo per lui il tempo stringe, per questo ha bisogno di rapidità.

Cgil e Fiom rappresentano il ritorno del rimosso, gli unici che sono ancora capaci di portare la lotta sul livello economico. Si capisce che Renzi non coglia dialogare con loro e faccia di tutto per accreditarli come residui di un tempo superato: è un tempo che vorrebbe tremendamente superare. Perché il punto è che la rinascita di una lotta di classe (necessità impellente: ridefinire il concetto di classe, che non è più il proletariato) a livello economico che fa (ri)nascere una nuova coscienza politica – è sempre stato così, e il perché si capisce da sé. Prima viene la lotta economica nei luoghi dove lo sfruttamento ha luogo, poi l'organizzazione politica. Questo significa che c'è urgente bisogno di organizzare una lotta sindacale che possa affiancarsi alla lotta della FIOM. E qui si vedono chiaramente anche gli errori della CGIL negli ultimi trent'anni, nell'abbandono delle nuove identità di lavoro (sindacato dei precari Nidil). Zero organizzazione su questo versante, pochi sindacalisti generosi lasciati soli in condizioni disperate. C'è bisogno di urgente organizzazione di un sindacato dei precari, perché oggi la lotta degli operai classici non basta più. In questo senso, e solo in questo, la lotta della Fiom può apparire anacronistica. Ma nel momento in cui ci fosse, al fianco degli operai, una massa di giovani precari, di donne e uomini non più giovani ma precarizzati negli ultimi anni di crisi, allora sarebbe ancora una lotta anacronistica? O non sarebbe piuttosto una lotta delle generazioni presenti e future? Avrebbe ancora Renzi il coraggio di dire che “non si tratta con i sindacati” (una sentenza bismarkiana!)?


La lotta della Fiom può e deve diventare l'occasione per rilanciare la lotta economica su più larga scala. Se tutta la massa di lavoratori precari, e tutti coloro che sono oggi sfruttati dalla ristrutturazione del sistema capitalistico in crisi, scendessero in piazza, il governo non potrebbe certamente più ignorarli. È in questo momento responsabilità in primo luogo del sindacato tentare di organizzare un più vasto fronte di protesta e lotta, attrezzandosi anche a difendere i lavoratori precari per restituire loro il diritto allo sciopero (che naturalmente non hanno più). Se il sindacato non fa questo passaggio, allora sì che potrà essere facilmente accusato di difendere solo il passato. Altrimenti, l'unica accusa sarebbe quella di difendere un passato che è ancora presente, e che politicamente il governo disprezza.

ytf

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