"Il lavoro non sia
terreno di scontro politico. Non si può sfruttare il dolore dei
cassintegrati, dei disoccupati, dei precari". Una frase di tal
tenore ideologico Renzi non aveva ancora avuto il coraggio di dirla.
ora l'ha detta, e mette fine ai dibattiti se lui, Renzi, sia di
destra o di sinistra. per quale motivo il lavoro non dovrebbe essere
terreno di scontro politico, quando la costituzione sancisce proprio
che la repubblica è fondata sul lavoro? E se non vogliamo prenderla
dal lato della costituzione, per quale motivo l'attività che
consente a donne e uomini, giovani e no, di progettare la propria
esistenza non dovrebbe essere luogo di scontro politico, di dissenso,
di richiesta di avere voce e rappresentanza? Se Renzi pretendesse (non è sicuro) di essere leader di un partito di centro-sinistra (per quanto all'acqua di rose: ma sta pur sempre nella
sinistra europea) allora dovrebbe rispondere a questa domanda: se non
la lotta per i diritti dei lavoratori contro lo sfruttamento del
capitale finanziario, che cosa definisce la sua sinistra? lo dica,
e poi gli elettori del pd decideranno, ma lo deve dire a chiare
lettere. tagli (agli sprechi, certo, ma anche tagli e basta), riforme
istituzionali e aumento della produttività non sono sufficienti per
definire una politica di sinistra, così come non lo è nemmeno
definirsi "riformista". il riformismo deve la sua
colorazione politica al contenuto delle riforme, non alle riforme in
se stesse – una ovvietà che oggi molti sembrano dimenticare.
Non voglio addentrarmi
nello sviluppo della sinistra europea degli ultimi 30 anni. Mi sia concessa una nota su
questo, però. La lotta per il riconoscimento dei diritti civili ha
preso da tempo il posto della lotta per i diritti economici e
sociali; ciò è stato determinato dalla fine del ciclo di lotte
economiche che vedeva la classe dei lavoratori operai come il
soggetto centrale della lotta politica. Fine dell'unione
operai-Partito, fine della rappresentanza politica di un soggetto
economico ben definito. A ciò è seguito lo spostamento dalla lotta
economica alla lotta per il riconoscimento civile e sociale e nuove
battaglie su altri fronti, per esempio l'ecologia. In generale: dalla
lotta per l'uguaglianza alla lotta per le libertà. Tutto questo è
risaputo, o almeno è già stato studiato e quindi disponibile. Ciò
che non è altrettanto evidente è che questo trend ora non è più
perseguibile, e che si innestava su un fatto economico: la crescita
rendeva secondaria (erroneamente!) il problema della distribuzione
del reddito. Quando questa condizione viene meno, il problema della
distribuzione torna a galla. Precari, cassintegrati, disoccupati
giovani e no, lavoratori a chiamata con malattia non pagata (ti rompi
una gamba? Fattacci tuoi) reclamano (o cominciano a farlo) i diritti
del lavoro, il che vuol dire: il lavoro come attività produttiva
deve essere incluso nella sfera politica, non ne è separato. Renzi
invoca la crescita e dice che dobbiamo tornare a crescere (verso
dove, per lui non è un problema). Questa è l'unica possibilità che
ha per silenziare la questione dei diritti del lavoro: tornare al
modello socialdemocratico, in cui la crescita garantiva una
distribuzione non equa, ma che “accontentava” anche i lavoratori.
Per questo per lui il tempo stringe, per questo ha bisogno di
rapidità.
Cgil e Fiom rappresentano
il ritorno del rimosso, gli unici che sono ancora capaci di portare
la lotta sul livello economico. Si capisce che Renzi non coglia
dialogare con loro e faccia di tutto per accreditarli come residui di
un tempo superato: è un tempo che vorrebbe tremendamente superare.
Perché il punto è che la rinascita di una lotta di classe
(necessità impellente: ridefinire il concetto di classe, che non è
più il proletariato) a livello economico che fa (ri)nascere una
nuova coscienza politica – è sempre stato così, e il perché si
capisce da sé. Prima viene la lotta economica nei luoghi dove lo
sfruttamento ha luogo, poi l'organizzazione politica. Questo
significa che c'è urgente bisogno di organizzare una lotta sindacale
che possa affiancarsi alla lotta della FIOM. E qui si vedono
chiaramente anche gli errori della CGIL negli ultimi trent'anni,
nell'abbandono delle nuove identità di lavoro (sindacato dei precari
Nidil). Zero organizzazione su questo versante, pochi sindacalisti
generosi lasciati soli in condizioni disperate. C'è bisogno di
urgente organizzazione di un sindacato dei precari, perché oggi la
lotta degli operai classici non basta più. In questo senso, e solo
in questo, la lotta della Fiom può apparire anacronistica. Ma nel
momento in cui ci fosse, al fianco degli operai, una massa di giovani
precari, di donne e uomini non più giovani ma precarizzati negli
ultimi anni di crisi, allora sarebbe ancora una lotta
anacronistica? O non sarebbe piuttosto una lotta delle generazioni
presenti e future? Avrebbe ancora Renzi il coraggio di dire che “non
si tratta con i sindacati” (una sentenza bismarkiana!)?
La lotta della Fiom può e
deve diventare l'occasione per rilanciare la lotta economica su più
larga scala. Se tutta la massa di lavoratori precari, e tutti coloro
che sono oggi sfruttati dalla ristrutturazione del sistema
capitalistico in crisi, scendessero in piazza, il governo non
potrebbe certamente più ignorarli. È in questo momento
responsabilità in primo luogo del sindacato tentare di organizzare
un più vasto fronte di protesta e lotta, attrezzandosi anche a
difendere i lavoratori precari per restituire loro il diritto allo
sciopero (che naturalmente non hanno più). Se il sindacato non fa
questo passaggio, allora sì che potrà essere facilmente accusato di
difendere solo il passato. Altrimenti, l'unica accusa sarebbe quella
di difendere un passato che è ancora presente, e che politicamente
il governo disprezza.
ytf